Fuori dai giudizi. Dentro le soluzioni

CAM STORIES 
capitolo III - Il lento fluire delle cose

Intervista a Carlo Riccardi, Responsabile Formazione CAM

 

 

 

“Non so perché, quella notte, non riuscivo a prendere sonno. Continuavo a vedere quella trota che saltava a prendere moscerini e sentivo che qualcosa di grande stava per aprirsi alla mia mente, ma non riuscivo a capire in che modo ciò sarebbe accaduto. A un tratto scoppiò un temporale. Mi piacevano i temporali. Scesi dal letto, mi avvolsi dentro una spessa coperta di lana e andai a sedermi sul balcone di legno a guardare la vallata che si illuminava alla luce dei lampi. Sapevo che il torrente stava ingrassando e mi chiedevo dov’era in quel momento la trota che avevo visto saltare. Mi chiedevo cosa era per lei una notte buia squarciata dai tuoni secchi e da lampi che accecavano. Allora compresi. Ciò che da anni andavo cercando era la pesca.” 

(Mario Albertarelli)

 

Iniziamo dalle presentazioni: Carlo Riccardi, responsabile delle attività formative della Camera Arbitrale, criminologo, mediatore penale, giudice esperto al Tribunale di Sorveglianza e….pescatore.

Pescatore con la mosca per la precisione; ci tengo! La pesca con la mosca è l’approdo finale di una vita passata sull’acqua a perdere pesci bellissimi, alcuni meravigliosi, e – ogni tanto – a catturarne qualcuno, non necessariamente grosso.

C’è stata la tua ‘notte buia’? Il momento in cui hai capito che era lei, la pesca, ciò che andavi cercando?

Ricordo tutto, nitidamente. Mi rivedo bambino sempre in strada, un caldo giorno estivo, un caro amico oggi scomparso che grazie alle sue zie pescatrici (l’unica famiglia che ho mai conosciuto dove pescavano solo le donne) m’introdusse alla pesca. Abitavamo sul Naviglio Pavese (quello della odierna movida) e andammo a pescare le alborelle con una cannetta, un filo e un galleggiante; dopo la prima, piccola, guizzante e argentea, non mi sono più fermato. Son passati 40 anni e non ho ancora perso la voglia di entrare in acqua.

Cos’è la pesca con la mosca?

E’ una tecnica meravigliosa nata intorno al 1500 in Inghilterra anche se in realtà c’è documentazione storica molto precedente. Si basa sull’idea affascinante quanto complessa d’ingannare la natura con esche artificiali che imitano gli insetti di cui si nutre il pesce nei vari momenti della giornata. E’ una sfida continua che parte dalla costruzione delle mosche, dallo studio delle correnti, dal tentare d’intuire dove possa trovarsi il pesce, alla presentazione credibile dell’esca; una fusione completa con il fiume e il suo ambiente.

Perché vai a pescare?

Bella domanda dalla risposta non scontata. Amo la natura e i fiumi e pescare è il mio modo per partecipare al lento fluire delle cose, lontano dai ritmi innaturali del quotidiano. Ti svelo un segreto; in una giornata tipo di pesca, passo quasi più tempo ad osservare che a pescare. Mi piace trovare il momento e la corrente giusta per farlo, adoro sedermi sui sassi o stare fermo nell’acqua. Al contrario di ciò che si può immaginare, il pescatore ama la natura e i pesci; andiamo a pescare e siamo i guardiani delle nostre acque. Le amiamo e le difendiamo, così come amiamo e difendiamo i pesci.

Se non ho capito male dicevi che ti costruisci le esche? Corretto?

(Sorride N.d.I.) Altra passione enorme; vestire un amo nudo e vederlo assomigliare a un insetto significa pregustare il momento in cui lancerai la tua insidia in una corrente vorticosa sperando che qualcosa abbocchi. È la costruzione dell’inganno, l’idea che attraverso quest’arte di assemblaggio dei materiali tu possa avvicinarti alla perfezione della natura tanto da indurre un animale selvatico a mangiare la tua esca o comunque a predarla. Forse viene fuori lo spirito ancestrale dell’uomo-cacciatore.

Mangi i pesci che catturi?

No! Figuriamoci; la pesca con la mosca consente di ridurre al minimo il trauma per il pesce che può essere rilasciato senza problemi e continuare a guizzare. Prevengo una tua domanda etica; ci sono studi che dimostrano questo e poi io m’impegno per i fiumi e i suoi abitanti andando a raccogliere le uova delle trote per evitare che muoiano, e cerco di dare il mio contributo per salvaguardare la natura. Sui fiumi ci trovo pescatori che lo difendono, non i teorici dell’ambiente; noi andiamo nella natura, vi partecipiamo e l’amiamo senza se e senza ma.

Ma non è noioso stare fermi tutto il giorno?

Beh….come dice un mio caro amico ormai in la con le primavere, per pescare ci vogliono le gambe! Sono kilometri fatti in un giorno, salire e scendere dalle pietre, guadare il fiume; diciamo che alla sera ti sei guadagnato la cena.

Sembra che la pesca abbia rapito cuore e mente…..

Non è la sola; ho un’altra grande passione più “nostalgica”; il Subbuteo; splendido gioco del calcio in miniatura, anche questo frutto dell’intuizione di un anglosassone. Ma di questo parliamo un’altra volta, altrimenti non mi fermate più.

Allora l’invito ai nostri lettori è per una pescata o una partita a Subbuteo?

Perché non entrambe?

Vuoi lasciare due frasi che ritieni significative delle tue passioni?

Volentieri.
C’è una frase di Maradona che mi colpì quando la lessi e la potrei fare mia: “Se stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto senza pensarci.” Questo è il mio sentire quando penso al Subbuteo.
Sulla pesca non ho dubbi. Una frase di John Gierach, un giornalista free lance: “Si dice che lungo i torrenti da trote ci si dimentichi dei propri problemi, ma non è esattamente così. Ciò che accade veramente è che si comincia a vedere dove i problemi rientrano nel grande schema delle cose e, di colpo, non sembrano più così grossi.